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Fabiola Gianotti: «Il mio viaggio nella materia oscura»

«Sii meno curioso della gente, e più curioso delle idee»: il monito della grande Marie Curie, due volte premio Nobel, il nume tutelare di Fabiola Gianotti, potrebbe essere la frase chiave da applicare come scudo protettivo alla direttrice del Cern (Centro Europeo di ricerca nucleare, a Ginevra). Perché racchiude bene l’inviolabile, soavissima fermezza usata nel respingere anche il più innocuo assalto a ciò che della sua vita rimane fuori dal contorno, lucente come le stelle, del proprio lavoro. E si capisce. Non solo per via del fatto che è una delle donne più potenti al mondo, la prima in oltre sessant’anni a dirigere il massimo laboratorio internazionale di fisica delle particelle (la terza italiana dopo Carlo Rubbia e Luciano Maiani), un gigante che coinvolge 17 mila persone e 22 Paesi membri.
C’è di più. Già nella postura elegante, nel tono di voce, nell’alone efficiente, s’intuisce in lei qualcosa di volutamente modesto e nello stesso tempo orgoglioso: l’idea di una forza tranquilla che per affermarsi conta solo su ciò che fa.

Fabiola Gianotti, 57 anni, orecchini di perle e rossetto, ha una faccia molto mediterranea, minuta, sottomessa a pulsanti occhi neri. La incontriamo a Spoleto, dove è stata premiata dalla Fondazione Carla Fendi.

Mi racconta come se fossi una bambina delle elementari che cosa fate al Cern con il potente Large Hadron Collider, un anello di 27 chilometri a cento metri sottoterra tra la Francia e la Svizzera?
Acceleriamo due fasci di protoni, alle energie più elevate possibili, nelle due direzioni opposte dell’anello e li facciamo scontrare in quattro punti del percorso, dove quattro grossi apparati sperimentali registrano i prodotti delle collisioni. Per semplificare: nello scontro, i protoni vanno in mille pezzi, e questo ci permette di studiare com’è fatta la materia nelle sue componenti fondamentali. Perché i protoni non sono particelle elementari, cioè indivisibili, ma sono formati da sottostrutture. L’energia che si produce nello scontro può anche materializzarsi in nuove particelle, prima sconosciute o solo supposte a livello teorico: come appunto, il bosone di Higgs. importantissimo perché fornisce massa ad altre particelle.

Qual è la prossima tappa?
Produrre fasci di protoni sempre più intensi: per misurare con maggior precisione le proprietà del bosone di Higgs. E aumentare l’opportunità di scoprire nuova fisica: ci sono moltissime questioni aperte, domande senza risposta. Per esempio, la natura della materia oscura che costituisce il 25 per cento del nostro universo.

Oscuro è un termine che mette i brividi.
In un certo senso è così: definisce la nostra ignoranza. sappiamo che la materia oscura c’è, ma non sappiamo com’è fatta. E non interagisce con i nostri strumenti, non la vediamo. Possiamo solo dedurne l’esistenza attraverso prove indirette.

Foto: Getty Images

Come un linguaggio del quale non conosciamo l’alfabeto?
Non è un alfabeto completamente sconosciuto: il modello standard che descrive le particelle elementari, per il momento ne abbiamo diciassette, funziona molto bene. Ma non è completo: devono esistere altre particelle o altri fenomeni, che ci permetteranno di rispondere alle domande sulla materia oscura o sull’universo fatto soltanto di materia con pochissima antimateria

È possibile indagare sui misteri della natura senza che questo influenzi l’immagine di Dio o l’idea della sua assenza?
Guardi, siamo così lontani dal poter dire di che cosa siamo fatti, come è iniziato tutto o dove andiamo, che il tema di Dio non si pone. Conosciamo solo il 5 per cento dell’universo, il 95 per cento è un punto interrogativo. Pensiamo che abbia avuto origine da una grande esplosione iniziale, il Big Bang, ma non ne conosciamo i dettagli.

Fino a quanto indietro nel tempo siete arrivati?
Grazie anche alla fisica delle particelle siamo arrivati a risalire nel tempo fino a un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il Big Bang. Molte delle cose importanti però sono successe prima. E non sappiamo se c’è un solo universo o più universi.

La terra ci sembrava piatta, lo spazio e il tempo ci apparivano come valori assoluti: nulla è come sembra. Siamo avvolti nell’illusione. Non è frustrante?
E nello stesso tempo meraviglioso. Vuol dire che c’è tantissimo da scoprire. Con il passare del tempo la scienza, grazie anche alla tecnologia accelera le sue scoperte. Pensi solo alla conferma delle onde gravitazionali, o al bosone di Higgs avvenute negli ultimi anni.

Non è un privilegio occuparsi di un futuro separato dalla realtà sociale, in un mondo spesso spaventato dal futuro?
Sì, la ricerca guarda per forza al futuro, deve andare avanti. E tuttavia proprio la scienza unifica le fratture del mondo. Le leggi della natura sono universali. E il desiderio di conoscenza, la parte migliore dell’uomo dai tempi delle caverne, prescinde dal colore della pelle, dalla nazionalità, dalle idee politiche. Senza la sua varietà multietnica, il Cern non sarebbe tale.

Lei ha deciso di occuparsi di fisica all’università, leggendo la biografia di Marie Curie. Che cosa l’aveva colpita?
Ero affascinata dall’aspetto intimo e quasi casalingo del suo lavoro di scienziata: un insieme fluido di ricerca e vita privata. Aveva il laboratorio in casa, la sera preparava la cena, mescolava la minestra per le figlie e poi correva a fare l’ultimo esperimento. Una persona normale che faceva cose eccezionali per l’umanità.

Foto: Getty Images

Lei non ha figli.
No.

E non è sposata.
No.

È stata una scelta?
Nella vita è questione di opportunità, devi incontrare la persona giusta. O la professione giusta. Ho una famiglia allargata: mio fratello, i nipoti e i miei genitori.

Com’era, com’è la sua famiglia?
Papà geologo, piemontese, lavorava per le compagnie petrolifere. Fu lui a scoprire il petrolio nel Canale di Sicilia, verso la fine degli anni Cinquanta. E in uno dei suoi viaggi, a Ragusa, conobbe mia madre che in realtà è palermitana. Come dice sempre lui: in Sicilia ho trovato il petrolio e anche la moglie! Mamma è laureata in lettere ma si è dedicata a noi figli.

Che cosa le hanno dato i suoi genitori, quale filo li lega al suo presente?
La spinta a essere curiosi, l’impegno a coltivare le proprie passioni. Da ragazzina, a Milano dove siamo vissuti, ho fatto sport, danza, musica. E tutto mi piaceva, anche la scuola naturalmente. Per dire: facevamo lunghe passeggiate in montagna ma ogni dieci metri ci si fermava per osservare il coleottero, la pianta, un certo tipo di fiore. I miei ci hanno insegnato una grande apertura mentale.

Anche lo slancio verso l’ambizione?
Piuttosto il senso del dovere, l’idea che nella vita le cose bisogna guadagnarsele. E bisogna essere modesti, molto modesti, mettere da parte qualunque vanità. Se si vuole andare avanti.

A proposito di vanità: che effetto le fa sapere che c’è un asteroide che porta il suo nome?
Mah, sa, ce ne sono miliardi di asteroidi… Ringrazio chi ha avuto l’idea.

La vanità per una scienziata?
Ho conosciuto scienziate di generazioni precedenti alla mia che di proposito si vestivano in modo trasandato per non dare l’impressione di perdere tempo allo specchio sottraendolo alla ricerca. Oggi questi pregiudizi non esistono più. La maggior parte delle mie colleghe al Cern tiene al proprio aspetto.

C’è una definizione possibile di bellezza dal punto di vista della fisica fondamentale?
Le equazioni che descrivono le particelle elementari e le loro interazioni, così come le equazioni della relatività generale di Einstein, sono semplici ed eleganti e si basano su principi di simmetria. La cosa interessante però è che, in qualche modo, noi esistiamo grazie alla rottura di questa simmetria. Per esempio, semplificando: se materia e antimateria fossero rimaste in proporzioni identiche – come si suppone fosse ai tempi del Big Bang – si sarebbero annichilite a vicenda e noi non ci saremmo. Nasciamo da un’imperfezione della bellezza. Per questo siamo qui.

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